Storia di un viticoltore alchimista e di un’ametista

MARIECLAIRE.IT pag. · 22-05-2022

Nel mondo dell’enogastronomia capita spesso di imbattersi in sensazioni e sapori ricchi di storia. Compiuta attraverso lezioni di vita, sapienza nella tecnica, amore e rispetto per il territorio nonché, infine, viaggi alla scoperta di nuovi mondi per migliorarsi, al fine di crescere e raggiungere la qualità sperata. Accade a Giulio Magnani, già proprietario della Fattoria Marchi-Magnani. Un appassionato viticoltore, con un intuito che vanta be pochi eguali, il quale decide di migrare brevemente alla volta della Francia intorno al 1870, per studiare i vitigni e le pratiche di vinificazione d’Oltralpe. Il punto di partenza è Montecarlo, in provincia di Lucca. In quest’area della Toscana, la prevalenza di uva dà vita al Trebbiano, vino, due secoli fa, non proprio di un’eleganza sopraffina. Magnani non ne disdegna però il potenziale e, determinato, capisce quindi che è quindi Bordeaux, con i suoi prosperi e variegati vigneti, a poterlo aiutare. E così è stato. Dalla regione porta in patria il Sauvignon, il Semillon, il Merlot, il Cabernet Franc e il Cabernet Sauvignon. Ultime tappe: il Rodano, in cui scopre il Roussanne, il beverino Syrah e la Borgogna, con il Pinot bianco e grigio.Tornato a casa decide di sperimentare, di giocare a fare l’alchimista, provando di capire le percentuali giuste dei vitigni da aggiungere al Trebbiano, al fine di renderlo più elegante, morbido e profumato. Il risultato è sulle tavole imbandite di molti appassionati ed esperti, nonché di teste coronate neo-spose: i vini di Montecarlo cominciarono a essere oggetto del desiderio sulle tavole più importanti tanto da accompagnare le nozze reali del Principe Umberto di Savoia e Maria Josè al Quirinale, nel 1930. Inghilterra, 1969. Gli artigiani che lavorano ai gioielli della famiglia reale sono costretti a produrre la corona del principe di Galles (aka Carlo) perché Edoardo VIII la porta a Parigi, dove sceglie di vivere il suo esilio post-abdicazione, e la conserva fino alla sua morte, assieme alla sua adorata Wallis Simpson. Stesso luogo ma nel 1661, viene imbastito lo scettro della corona, anche noto come scettro di sant’Edoardo per l’incoronazione di re Carlo II. Nel 1905 viene ridisegnato con lo scopo di inserirvi il diamante Cullinan, uno dei più celebri al mondo. Ad accomunare questi due monili è però un’altra pietra, importante, ma certamente assai meno nota del diamante: l’ametista rosa di Francia. Dai toni delicati, si presenta quasi trasparente. Peccato esporla troppo al sole, dove rischia di perdere le sue particolari sfumature, le quali ricoprono tutta la gamma di rosa: dal pallido allo Schiap. In gioielleria e alta bigiotteria, comincia a diffondersi in epoca vittoriana, la stessa impiegata da Giulio Magnani per andare in Francia e riscoprire la bellezza del fare vino, dando vita a un progetto ancora oggi all’apice del successo: Tenuta Buonamico. Una sfida riuscita grazie a una produzione di qualità, compiuta nel rispetto del territorio, dando vita a bottiglie che sono già un challenge, di per sé vinto su tutti i fronti. In particolare con il vino “rosa”, fermo, tra le loro gemme più preziose da degustare: il Dea Rosa.

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